Focus Prem’er-Liga. Il calcio russo ai tempi della guerra/invasione ucraina
Nella massima serie del campionato russo di calcio gli introiti sono in calo, ma non è tutta colpa della guerra.
(di Davide Pollastri) – Tra il 2005, anno del primo importante trofeo internazionale conquistato da un club russo (la Coppa UEFA vinta dal CSKA Mosca), e il 2021, anno in cui la Gazprom Arena di San Pietroburgo ha ospitato ben 7 partite del campionato europeo itinerante vinto dall’Italia, il calcio russo ha vissuto un periodo di enorme splendore. Questa epoca è culminata nel 2018 con l’organizzazione del “faraonico” Mondiale per il quale sono stati spesi ben 13 miliardi di euro, di cui 1,4 mld solo per il sopracitato impianto di San Pietroburgo.
Dal 24 febbraio 2022, ovvero dalla data ufficiale della invasione dell’Ucraina, anche il calcio russo (come molte altre attività del paese) è precipitato in un baratro di difficoltà; i club e le nazionali sono stati esclusi dai tornei internazionali, San Pietroburgo ha perso la finalissima di Champions League 2021-2022, i campioni (stranieri e non) hanno cercato rifugio altrove e molte partnership sono svanite nel nulla (Nike ha lasciato lo Zenit e Adidas, sponsor della Nazionale di calcio dal 2008, ha chiuso la partnership con effetto immediato, dopo che la selezione è stata esclusa da FIFA e UEFA da qualsiasi competizione internazionale).
Tuttavia, il numero di spettatori non è diminuito solo a causa del conflitto e della successiva fuga di campioni, ma (anche) per un documento, diventato obbligatorio negli stadi russi, contenente dati personali (una specie di ‘tessera del tifoso‘ maldigerita da buona parte dei supporter locali).
Se per porre un freno all’emorragia di campioni, che, fin da subito, ha tolto otto elementi all’FK Krasnodar e sette al Rubin Kazan (persino il forte georgiano K’varatskhelia, prima di approdare al Napoli campione d’Italia, “fuggì” da Kazan per accasarsi nella modesta Dinamo Batumi), il Governo ha provveduto offrendo la cittadinanza russa alle poche “stelle” rimaste (tra cui troviamo l’olandese di origine surinamese Quincy Promes), più complicati sono risultati i tentativi di riportare i fan negli stadi e (ancor più) di intercettare nuovi partner commerciali.
Oggi i principali sponsor della Prem’er-Liga russa (RPL) sono tutti brand nazionali:
МИР (Title sponsor), un intermediario finanziario alla cui piattaforma di pagamento denominata “Mir” (un sistema nazionale di pagamenti elettronici attivo in Russia) partecipano più di 260 banche, Winline, il più grande bookmaker russo e Match Premiere, un canale premium sul calcio russo con contenuti dedicati.
Anche la nazionale ha trovato un nuovo sponsor tecnico in “casa” (la moscovita Jögel), mentre lo Zenit San Pietroburgo, il club più ricco del paese, con un valore della “rosa” pari a 160 milioni di euro (l’undici del Fakel Voronezh, la ” cenerentola” della Prem’er-Liga, ad esempio vale appena 12 milioni di euro), è riuscito comunque a trovare un partner internazionale di prestigio (la spagnola Joma, che, oltre allo Zenit, sta sponsorizzando altri importanti team, tra cui il CSKA).
Il futuro del calcio russo, conseguenza di un passato faraonico e di un presente nebuloso, potrebbe essere ancor più lontano dall’Europa. Prende sempre più piede l’ipotesi che la Federcalcio possa lasciare la UEFA per aderire all’Asian Football Confederation. Un escamotage per tornare a partecipare ad una serie di tornei internazionali.
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