Superlega? Nein, danke!

Nel tentativo di golpe calcistico da parte di una fetta molto significativa dell’Europa del calcio, il fatto più sorprendente è che nessuno dei club tedeschi di vertice, come Bayern Monaco, RB Lipsia o Borussia Dortmund, abbia aderito. 


di Massimo Morales

Accanto alla logica motivazione che questi club, avendo i conti economici in ordine, non avessero la necessità finanziaria di aderire a un così palese atto di ribellione, ce n’è un’altra che emerge nell’approfondire il tema trattandolo sotto un aspetto politico e, ancor di più, sociologico. Detto che la Federazione tedesca, per una serie di motivi troppo lunghi da analizzare, ha con le federazioni internazionali quali Uefa e Fifa un rapporto storicamente “amichevole” tale da non voler rischiare di operare al di fuori dei contesti istituzionali, il motivo principale della non adesione è da ricercare nella situazione del calcio tedesco. Entrare a far parte dei club fondatori di una eventuale Superlega, infatti, avrebbe acuito le tensioni interne esplose nel febbraio del 2020 e momentaneamente sopitesi solo a causa della pandemia.

Il 29 febbraio dello scorso anno i tifosi del Bayern avevano violentemente offeso e contestato Dietmar Hopp, proprietario dell’Hoffenheim nonché amico personale dei vertici del Bayern, Rummenigge in primis, e considerato il simbolo dell’eccessiva commercializzazione del “Fussball”. Venne, infatti, accusato di essere arrivato dalle serie minori fino alla Bundesliga soltanto grazie a investimenti inusuali per un club di quartiere così piccolo e, praticamente, senza storia. Sono ormai anni che il povero Hopp, fondatore della multinazionale informatica SAP e primo contribuente dello Stato tedesco, viene preso di mira in tutti gli stadi, a prescindere dalla categoria, con grande imbarazzo e preoccupazione di chi il calcio tedesco di fatto lo governa. Lo stesso tipo di rivolta dei tifosi tedeschi di ogni colore, molto attenti alle componenti tradizionaliste della storia del calcio, era avvenuta anche contro il Lipsia, arrivato in Bundesliga sì grazie ai risultati sportivi, ma anch’essi scaturiti da investimenti abnormi quando questo club si trovava nelle serie minori. E anche in questo caso i rapporti personali tra il proprietario della Red Bull Dietrich Mateschitz e i vertici del Bayern sono da considerare di prim’ordine, se non proprio di amicizia. Inoltre, c’è da ricordare che i bavaresi, oltre un decennio fa, erano stati finanziatori, tramite un regolare prestito, del Borussia Dortmund che si trovava in un momento di carenza di liquidità tale da rischiare il fallimento. 

Operare al di fuori delle istituzioni calcistiche, dunque, avrebbe inviso questi club a tutti i tifosi in maniera ancora più grave, inimicandosi forse definitivamente coloro che, del resto, in Germania riempiono gli stadi come in nessuna altra nazione del mondo.

La Bundesliga, nonostante la pandemia, è riuscita a tenere botta grazie alla solidarietà economica (distribuzione introiti diritti televisivi) dei club e a un’unità di intenti a livello organizzativo che sicuramente è mancata in altri paesi, Italia in primis. I tedeschi, come popolo in generale e in questo caso nel calcio, sono abituati a fare quadrato e a uscire dalle sedi decisionali sempre con delle linee guida definite in maniera unanime. Anche da questo è scaturita la decisione univoca di non far parte di una “rivoluzione” che avrebbe messo ulteriormente a repentaglio il prodotto interno che, numeri alla mano, funziona benissimo e che interessa ai tifosi molto più delle competizioni internazionali.

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