Riflessioni sul caso Schwazer

dell’Avvocato Carlo Carpanelli

La storia di Alex, che solo recentemente ho conosciuto, in occasione del webinar organizzato dal Panathlon Club Milano, mi ha profondamente toccato.

            Ho visto negli occhi suoi ed in quelli del Prof. Donati un essenziale (e definitivo) senso di incertezza, dolore e smarrimento, quello che ogni giorno ritrovo nei gli occhi dei frequentatori, per caso o per “abitudine”, dei Tribunali.

            Un misto tra un senso di vuoto, la voglia di non mollare e, assieme, la consapevolezza di avere contro una montagna troppo alta da scalare, assieme a una grande solitudine.

            La solitudine di coloro che vengono “messi da parte”.

            Quello che resta, e non importa se si sia “innocentisti” o “colpevolisti”, è la inaccettabilità dell’insieme di due giustizie opposte, quella sportiva, che li taccia di essere pesantemente colpevoli e grandi attori, e quella penale che, invece, taccia i loro grandi e potenti accusatori come una lobby autoreferenziale incline a commettere addirittura molti reati ed a rendersi parte attiva di un vero e proprio complotto planetario (con annesso attacco hacker…).

            Ben sappiamo che la Giustizia degli Uomini, in quanto amministrata da esseri fallibili (eh sì…) è una Giustizia relativa, parziale e fallace; lo stesso contenuto delle due decisioni, egualmente valide da un punto di vista formale, e così diametralmente ed inaccettabilmente opposte (da una parte 8 anni di squalifica, dall’altra un giudizio di non avere commesso il fatto di doping contestatogli, espresso in oltre 80 argomentatissime pagine) lasciano, da qualsiasi campo visuale le si osservi, il senso di una complessiva situazione di non-giustizia, di “lontananza” dalla situazione concreta.

            Per concludere, mi hanno sorpreso le parole di Alex, che ha spiegato (ed è un punto di merito per lui, a mio parere) di essere un uomo di campo e non un uomo per aule di Giustizia e di essere pronto a proseguire la sua battaglia di verità e giustizia, ma di volere ora al suo fianco il suo Comitato Olimpico e la sua Federazione perché in fondo (come dargli torto?), regola dello sport è quella che si vince e si perde sempre tutti assieme.

            L’auspicio conclusivo è che tutti gli operatori del settore (a ogni livello) possano lavorare di più e meglio per uno Sport sempre più pulito e trasparente, con interpreti animati dalla volontà ferrea di trasporre nei loro comportamenti i sani valori dell’etica sportiva e per fare in modo che non accadano mai più questi inaccettabili contrasti tra provvedimenti che, come detto, non possono che risultare, globalmente ingiusti.

Carlo Carpanelli

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