La diversa velocità del calcio

Tutti i tifosi italiani di calcio hanno passato una settimana tranquilla, potendosi godere il meglio del calcio europeo senza la tensione di vedere la propria squadra, anche se ovviamente tutti lo avrebbero voluto. Il livello di queste partite è stato stellare e ha portato a fare diverse riflessioni sul movimento calcistico italiano.


di Matteo Pifferi – DataSport

Quattro grandi partite in questi giorni e quattro grandi partite la scorsa settimana. Uno spettacolo sportivo di altissimo livello, che ha raggiunto il suo apice con Paris Saint Germain – Bayern Monaco, probabilmente la partita dell’anno, di sicuro uno degli scontri, tra andata e ritorno, più belli degli ultimi 10 anni. È curioso pensare che questo grande spettacolo non sia coinciso con una pioggia di gol; è bastata la qualità di calcio espressa per esaltare chiunque abbia visto queste partite. Analizzando solo i match validi per il ritorno, infatti, solo la sfida tra Borussia Dortmund e Manchester City si è conclusa con più di una rete a referto. Questi match hanno fatto tornare di moda le discussioni sul calcio italiano rispetto a quello dei top club europei, tema già era emerso qualche settimana fa, quando tutte le nostre squadre, salvo la Roma, sono state eliminate dalle loro competizioni continentali senza superare nemmeno gli ottavi come nel caso della Juventus o nemmeno i gironi come nel caso dell’Inter che, in Italia, sta dominando e infrangendo record su record.

Effettivamente la differenza tra il calcio italiano e quello in Europa è (stata) evidente e il confronto è ai limiti dell’impietoso. La diversità principale che è emersa tra le partite di Serie A e quelle di Champions, ma anche di molti altri campionati nazionali è stata sul piano del ritmo. In Europa si gioca a velocità doppia rispetto all’Italia, il pallone si muove più rapidamente e i passaggi si fanno quasi esclusivamente in verticale. È molto raro osservare quello sterile e lento possesso palla tra difensori che siamo così abituati a vedere in Italia, soprattutto quanto si scontrano squadre di livello abbastanza diverso, quantomeno sulla carta. Il gioco in Serie A è molto più lento, decisamente meno spettacolare e non sempre efficace. Questo modo di giocare in Europa ha già dimostrato a più riprese di non funzionare, dato che in una competizione come la Champions League sono intensità e velocità di gioco a farti vincere. 

Una frazione di responsabilità di questo gioco sotto ritmo credo personalmente che ricada sul metro arbitrale utilizzato nel nostro campionato. In Serie A è limitata profondamente la fisicità, al minimo uso del corpo viene fischiato un fallo. I giocatori, specie i più esperti, sfruttano ampiamente questa cosa, lasciandosi cadere e protestando al primo sentore di un contatto, contribuendo così ad acutizzare il problema. Queste continue interruzioni del gioco spezzettano molto le partite e contribuiscono a tenere basso il ritmo. Appena si sbarca in Europa, invece, si incontra una realtà di arbitraggio “all’inglese”, in cui si fischia il meno possibile e solo i falli netti ed evidenti, mettendo in crisi i giocatori delle nostre squadre, abituati a lasciarsi andare con facilità e ottenere quasi sempre una decisione del direttore di gara a proprio favore. La cosa più incredibile è che anche la classe arbitrale italiana adotta questo metro di giudizio quando dirige match europei (basti pensare che la sfida di martedì del Parco dei Principi è stata diretta dal nostro arbitro Daniele Orsato). 

Un altro problema del movimento calcistico italiano è dato dal talento e dall’utilizzo dei giocatori giovani. La Serie A è un campionato in cui riescono ancora a fare tutta la differenza del mondo giocatori come Cristiano Ronaldo, 36 anni, o Zlatan Ibrahimovic, 39 anni. Poi arrivano il martedì e il mercoledì e vediamo dominare giocatori come Mbappé, 22 anni, Foden, 20 anni, o Vinicius Jr., 20 anni. In Europa c’è proprio il culto dell’investimento nella gioventù, che consiste nell’acquisto di un giovane talentuoso da un altro club o in un investimento di denaro, energie e tempo verso il proprio vivaio. Anche alcuni dei top club italiani stano virando verso quella direzione, come ad esempio il Milan, che sta investendo nei giovani, affiancandoli a pochi elementi talentuosi ed esperti come Ibrahimovic o Kjaer, o l’Atalanta, che invece si concentra storicamente sul suo vivaio, sfoggiando ogni stagione un nuovo super giovane promosso dalla primavera. 

Anche la Juventus, la dominatrice delle ultime stagioni, sta iniziando un processo di “svecchiamento” della rosa, con gli acquisti ad esempio di Chiesa, Kulusevski o, ancora più a lungo termine, Rovella. In ogni caso il livello e l’esperienza di molti giovani nei top club europei è maggiore perché gli allenatori hanno il coraggio di farli giocare quando non hanno ancora un nome altisonante e, soprattutto, si sanno prendere la responsabilità di riconfermarli in campo pur dopo degli errori, perché sono ragazzi e hanno bisogno di sbagliare per diventare dei campioni. Forse questo è l’aspetto che, in Italia, dovrebbero prendere come esempio sia gli staff delle varie squadre, sia la stampa, spesso ipercritica su giocatori ed allenatori e sempre pronta a crocifiggere chiunque per un singolo errore. 

Ringiovanire le rose potrebbe essere il primo passo per poter ritrovare velocità di gioco (ovviamente servono giocatori qualitativi oltre che giovani) e, successivamente, dovremo concentrarci sulla tattica. I tatticismi sono sempre stati uno dei punti forti del calcio italiano, ma in questi ultimi anni si sono trasformati nel nostro punto debole. L’obiettivo degli allenatori dovrebbe proprio essere quello di un ritorno al passato ma guardando al futuro; prendere gli aspetti più “innovativi” del gioco dei top club europei e metterci quel tocco nostrano che ci ha sempre resi dei maestri in questo sport.

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