E i giovani rimangono in panchina…

Da pochi giorni, in Italia, sono stati riaperti campetti e calcetti per qualsiasi sport di contatto a livello amatoriale. Perché non ricominciare anche con gli sport a livello giovanile con le rispettive società?


di Matteo Pifferi – DataSport

A più di un anno di distanza dall’inizio della pandemia, convivere con il virus risulta più complicato di quanto ci si aspettava: dal turismo alla ristorazione, molti settori hanno risentito di tutti questi blocchi forzati, ma necessari, così come lo sport, che nel corso degli anni ha acquisito una centralità dal punto di vista sociale ma anche economico, facendo da traino al Paese in più di una circostanza. Nonostante una timida ripartenza tra settembre e ottobre, è da tanto tempo che non i ragazzi e le ragazze gioca una partita con la propria squadra valida per i campionati di tutte le giovanili. 

Le società si stanno impegnando ad attenersi a tutti i protocolli che sono stati deliberati dal Governo al fine di poter ricominciare in sicurezza, ma tutte queste raccomandazioni perdono di importanza nel momento in cui, come sta accadendo in questi giorni, vengono riaperti campi sportivi al pubblico dove è possibile organizzare partitelle con gli amici o fare un 3vs3 al campetto del proprio paese con degli sconosciuti: in questa situazione garantire la sicurezza non è più una cosa scontata. È ormai da troppo tempo che non vengono più giocate partite tra le giovanili della propria zona: dopo la sospensione e il cancellamento dei campionati dello scorso anno, questa stagione non è nemmeno cominciata per tante e troppe realtà; solo ai professionisti è stata concessa (sicuramente per motivi anche economici) la possibilità di poter disputare l’annata, seppur a porte chiuse. Questa scelta non è stata criticata anzi, è stato forse uno dei primi passi fondamentali per poter tornare a una realtà che ormai manca da diversi mesi. Indubbiamente, al giorno d’oggi, lo sport non è l’argomento all’ordine del giorno, però è giusto poter dare, con le giuste precauzioni, momenti di svago e spensieratezza che stanno mancando nell’ultimo periodo.

Al contrario, è stata gestita la situazione sport amatoriale e giovanile in maniera poco chiara e, da un lato, contraddittoria: perché poter organizzare partitelle con gli amici all’aperto – e i calcetti, che hanno comportato un boom di richieste presso i vari centri, con rischio esponenziale di assembramenti o di contatto con ‘estranei’ – e, invece, bloccare qualsiasi sport di contatto di tutte le categorie giovanili? Non ci sono molte spiegazioni a riguardo: oltretutto una società sportiva garantirebbe una sicurezza maggiore dato che ci si è attrezzati per fare un tampone rapido prima di poter entrare in palestra o in qualsiasi campo comunale. Se da un lato la scelta più giusta è sembrata essere quella di bloccare tutto il sistema sportivo giovanile, dall’altro dovrebbe essere vietato, allo stesso tempo, poter giocare a calcetto o al campetto con gli amici. Quegli amici che, con grande probabilità, sono gli stessi con i quali il singolo ragazzo o la singola ragazza lo stesso spogliatoio nella stessa squadra. Un paradosso lapalissiano per molti ma non per chi da mesi ha in mano il futuro dello sport italiano. 

L’opportunità data dal governo di poter praticare sport di contatto all’aperto può essere vista anche come un aiuto per poter riavvicinare i ragazzi a una realtà che è svanita nel febbraio scorso e poter riaccendere in loro i sani principi dello sport. Dando questa possibilità, però, oltre ad avere il buonsenso, è necessario attenersi a regole per far sì che la situazione possa rimanere stabile. Intanto, le società stanno ferme a guardare ed aspettare nella speranza di poter rientrare ad essere parte integrante, nel piccolo, nella società e nella vita di ogni ragazzo. Lo sport amatoriale è una buona soluzione ma non andrà mai a sostituire quello che le società sportive offrono in termini di qualità e di sicurezza che garantiscono al ragazzo di poter crescere a livello tecnico ma, soprattutto a livello umano in un gruppo di coetanei che giocano per lo stesso obiettivo. A corredo di ciò ci sono però numeri che raccontano di una realtà che necessita di interventi chiari e soprattutto immediati: solo in Lombardia si legge di almeno 15 società dilettantistiche che non riapriranno per mancanza di fondi e il numero cresce sicuramente se commisurato al resto dell’Italia intera. Per non disperdere un potenziale clamoroso di giovani ragazzi e ragazze, è necessario investire sui giovani con i fatti e non più a parole, visto che molti esponenti hanno preferito, fin qui, ipotizzare scenari più che proporre soluzioni valide e, soprattutto, immediate. 

Ogni giorno che passa rischia di essere fatale per tante realtà dilettantistiche che, con grande forza di volontà e con pochi soldi a disposizione, mettono a disposizione le proprie strutture per cercare di far divertire ma soprattutto formare non solo i calciatori ma anche gli uomini e le donne del domani. Nel pieno rispetto delle norme vigenti anti-Covid, occorre trovare una soluzione perché ‘chiudere tutto’ non è più accettabile. Specialmente se si sottovalutano i potenziali rischi psicologici che tali scelte stiano causando a chi, quando arriverà il semaforo verde per riprendere la propria attività, non saprà più cosa è giusto e cosa non lo è. Sempre che il numero di società che abbassano la saracinesca per sempre non aumenti in maniera esponenziale, timore tutt’altro che remoto, a maggior ragione dopo una stagione – per chi l’ha potuta giocare – senza incassi dal botteghino e con sponsor ridotti al lumicino. 

Il messaggio al Governo e a Valentina Vezzali è arrivato e sta arrivando forte e chiaro: la speranza è che si pianifichi sin da subito il modo di ripartire, con la possibilità di apportare modifiche in corso d’opera e senza voler puntare il dito, non dimenticando il fatto di star affrontando una pandemia dalla quale è difficile uscirne. Ma, chi ha in mano il futuro dello sport e dell’Italia, calcoli con franchezza i rischi e i benefici sulle scelte di apertura e chiusura delle società sportive locali, finora le più penalizzate e quasi emarginate, nonostante rappresentino il punto di partenza di tutti i grandi campioni che calcano i palcoscenici più nobili di ogni sport di squadra, dal calcio al basket, dalla pallavolo al rugby.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *