Dare spazio ai giovani per essere al passo con i più forti

È oggettivamente ancora presto per trarre giudizi sul percorso dell’Italia Under 21 agli Europei, ma il pareggio, a sorpresa, contro la Repubblica Ceca apre a un tema annoso che accompagna il progresso del ciclo pallonaro italiano: la crisi del calcio in Italia e il poco spazio che i giovani hanno con i rispettivi club. 


di Matteo Pifferi – Datasport

Non esiste una correlazione diretta tra l’1-1 dell’Italia Under 21 di Nicolato e il problema che attanaglia e ingolfa il calcio nostrano, tanto che la Nazionale maggiore sta ottenendo risultati importanti sotto l’egida di Mancini, uno dei tecnici più all’avanguardia sul tema, visto che ha lanciato in prima squadra giovani del calibro di Zaniolo e Kean – giusto per citarne due – quando in pochi ci avrebbero puntato al posto suo, preferendo magari attaccanti più attempati che non avrebbero spostato l’equilibrio.

L’Italia Under 21 di Nicolato presentava nell’undici titolare che ha esordito agli Europei di categoria alcuni giocatori che fanno parte di club di Serie A. Dai milanisti Gabbia e Tonali al cagliaritano scuola Inter zappa, fino al bomber del Genoa Scamacca che ha fatto coppia in attacco con Cutrone, ora tornato al Valencia dopo il prestito poco felice con la Fiorentina. Sulla carta una rosa di livello, tanto che dalla panchina sono subentrati Rovella (Genoa) e Pobega (Spezia) oltre a Raspadori (Sassuolo) e Bellanova (Pescara). Tra i 15 che hanno giocato il match d’esordio contro i cechi, balza all’occhio subito una conclusione: nessuno è un perno titolare del proprio club, eccezion fatta per Zappa che finora ha collezionato 25 presenze al primo anno in massima serie a 21 anni passati e gli altri che militano in Serie B. 

Già, perché gli altri giocatori in rosa sono delle opzioni più a gara in corso che titolari e ognuno di loro ha vissuto una stagione a suo modo particolare: Scamacca, a segno contro la Repubblica Ceca, è rimasto tre mesi senza segnare con il Genoa, diventando clamorosamente la quinta punta dopo buone prestazioni ma la doppietta al Parma lo ha rimesso al centro del villaggio genoano. Il più deludente è senza dubbio Sandro Tonali, pagato a peso d’oro dal Milan in estate per prenderlo dal Brescia, ma, al momento, incapace di imporsi nonostante la lunga assenza di Bennacer abbia rappresentato potenzialmente una grande occasione da sfruttare per il talento lodigiano. Proprio Tonali si è fatto espellere per una brutta entrata di gioco su Sasinka a 5′ dalla fine del match. Un cartellino ineccepibile e che completa una prestazione non da leader, qual era invece sulla carta il jolly di centrocampo classe 2000.

In un calcio frenetico, reso ancor più impaziente a causa del Covid-19 e del calendario ristretto per far combaciare tutte le date e non perdere eventi internazionali utili a confrontare le diverse realtà, ma anche a non far perdere altri soldi alle Federazioni – Agnelli, lo scorso settembre, stimò sui 4 miliardi in due anni le perdite per i club europei – in un momento storico che impone una salvaguardia di quei capisaldi che hanno reso il calcio lo sport più seguito al mondo, non c’è spazio per attendere. La pazienza, nel mondo del calcio, in realtà non è mai esistita. Eppure, il tempo va concesso ai giovani (italiani ma non solo), così come vanno concessi e tollerati gli errori che fanno parte di un percorso di crescita di ogni giocatore, dal più bravo a quello che, invece, non farà mai il salto di qualità. Il confronto con l’estero è impietoso: il Milan è uscito dall’Europa League anche perché all’andata ha subito gol da Diallo (classe 2002, che lo United ha comprato per 40 milioni dall’Atalanta), subentrato a inizio ripresa e andato a segno con un bell’inserimento due minuti più tardi. Una rondine potrebbe non fare primavera, tuttavia è indicativo ed è facile pensare che in Italia la mentalità è ancora troppo statica per poter pensare di puntare veramente sui giovani nei fatti e non solamente a parole, con tanti dirigenti, anche di spessore, che, ogni anno, immancabilmente dopo le eliminazioni dei club italiani dalle Coppe, ripetono la consueta litania: “Bisogna puntare sui giovani e sui settori giovanili”. 

Mentre in Italia si parla, all’estero si passa all’azione. In Francia, Mbappé (classe 1998) ha un curriculum spaventoso ed è considerato all’unanimità un talento mondiale, ha già vinto un Mondiale da protagonista e trascina il PSG in Francia e in Europa da anni. In Italia, Federico Chiesa (classe 1997) è considerato un giovane talento perché al primo anno alla Juventus ha confermato le attese, dimostrandosi pronto per una big. L’etichetta di ‘giovane talento’, di fatto, cozza con la realtà, dal momento che i club che giocano le Coppe hanno giocatori altrettanti validi, ma di media 3-4 anni più piccoli, giudicati sì ‘giovani talenti’, ma già presenti in pianta stabile. Da Pedri del Barcellona ad Haaland, da Sancho a Foden, da Brobbey a Willock e Nketiah. Nomi conosciuti ai più e che testimoniano quanto un club, piccolo, medio o grande, all’estero punti davvero sui giovani, a maggior ragione in una vetrina europea che vale un palcoscenico stile La Scala. 

Perché è falso dire che in Italia non si punta sui giovani di talento perché ci sono meno soldi che all’estero: lo United, dal 1937 ad oggi, ha disputato tutte le partite con almeno un prodotto del settore giovanile dell’Academy. In Premier si parla di Accademia perché i giovani vengono formati e, i più meritevoli, finiscono subito in prima squadra. In Italia è diverso: il giovane medio promettente, dopo la trafila fino alla Primavera, quasi mai ‘sale’ in prima squadra: parte inizialmente con un prestito in Serie B o C, salvo qualche rara eccezione direttamente in Serie A, ma in una piccola che si deve salvare. Con l’inevitabile rischio di giocare meno, a discapito di un giocatore più esperto e magari più adatto ad aiutare la squadra a raggiungere l’obiettivo, mettendo i bastoni tra le ruote ad un giovane che, per crescere, ha bisogno di farsi le ossa, giocare, sbagliare. Ma in Italia è molto più facile parlare che passare all’azione. E i risultati, come sempre, non lasciano spazio a interpretazioni.

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