Cordiano Dagnoni: ‘La Federciclismo come un’azienda’

Alle elezioni della Federazione Ciclistica Italiana che si terranno nei prossimi giorni, ci sarà anche un Panathleta tra i candidati a succedere al presidente uscente, Renato Di Rocco. Si tratta del 56enne Cordiano Dagnoni, imprenditore e nel ciclismo sportivo da atleta, tecnico, dirigente di società e, da 12 anni, impegnato nel Comitato Regionale della Federazione come Consigliere, Vicepresidente e Presidente. Dopo questa esperienza locale, Dagnoni ha deciso di fare il grande salto e puntare alla presidenza nazionale ed è lui stesso a spiegarne il motivo. 

“L’esperienza fatta in Comitato Regionale mi ha consentito di maturare l’esperienza non solo necessaria, ma indispensabile per capire come funziona la macchina federale che è cambiata notevolmente negli ultimi anni. Siamo diventati ente pubblico e, come tale, c’è una burocrazia da rispettare, ma al contempo occorre semplificare il più possibile le procedure dando più autonomia ai comitati provinciali e regionali. Io stesso, come presidente del comitato Lombardo, che muove circa un terzo del movimento ciclistico nazionale, ho subito uno scollamento tra la sede centrale e quelle locali. Per cui, l’idea è di creare una Federazione più azienda con lo scopo di creare un profitto, non solo in termini economici, ma anche come partecipazione e visibilità”.

Quanto potenziale ha il nostro ciclismo a suo parere?

“A mio avviso enorme. Anche la pandemia è diventata un’opportunità, in un certo senso. Perché ha fatto riscoprire la bicicletta a tanti, come strumento di libertà e benessere. Purtroppo, non siamo ancora capaci di valorizzare il nostro potenziale dal punto di vista della comunicazione e del marketing. Ritengo che la mia esperienza e il mio passato possano essere utili perché non sto cercando a tutti i costi una poltrona, ma sto mettendo a disposizione del bene del ciclismo l’esperienza che ho maturato in questi anni”.

La Federazione ha uno statuto di 20 anni fa e lei si è detto intenzionato a rinnovarlo.

“Le condizioni di oggi sono diverse da quelle di 20 anni fa ed è opportuno rimetterci mano. Passando attraverso un’assemblea straordinaria che vorrei fare nel 2022, ma che deve essere preceduta da una riunione allargata con tutti i presidenti provinciali e regionali per una condivisione da cui possano scaturire le proposte e le azioni correttive per migliorare lo statuto”.

Come pensa di aiutare il ciclismo giovanile che sta passando un momento tanto difficile?

“Se parliamo di ciclismo giovanile si soffre soprattutto a livello di società. Abbiamo un grande problema derivato dall’emorragia degli atleti nei passaggi delle varie categorie giovanili, ma anche della mancanza di società. Purtroppo, infatti, ci sono società che prendono solo i migliori con la conseguenza che quelli che restano esclusi finiscono con l’abbandonare questo sport. Per ovviare a questo problema abbiamo proposto una soluzione che vada a sostenere le società che si impegnano a fare la filiera di almeno tre categorie. Così si dà la possibilità agli atleti di fare un percorso di maturazione. Le società verrebbero aiutate in vari modi fino a riconoscere un premio di valorizzazione quando si cede l’atleta. In questo modo si garantirebbe un percorso formativo più a lungo raggio”.

Dal punto di vista delle infrastrutture la pista è una nota dolente del movimento.

“Abbiamo avuto un impianto coperto che è nato 35 anni dopo il crollo del palazzetto di Milano nel 1985. Nel 2010 è stata inaugurata la pista di Montichiari, solo che un paio di anni fa ha avuto dei problemi strutturali. Per cui, è stata chiusa e ora è utilizzabile solo dalla nazionale con numeri ridotti di presenze. Peccato che alle categorie giovanili manchi un posto dove allenarsi. Come Lombardia avevamo fatto una scuola di ciclismo invernale che funzionava molto bene, ma con questo problema i ragazzi si sono dedicati di più al ciclocross. In tutta Italia, poi, ci sono tanti altri velodromi che non sono più agibili e occorrerà metterci mano. L’impiantistica è importante anche per la sicurezza perché allenarsi più protetti significa anche invogliare di più i genitori a far avvicinare i figli a questo sport”.

Come si può avvicinare di più la gente a questo sport?

“In questo momento storico di mobilità sostenibile, bisognerebbe fare una comunicazione che permetta di andare a catturare tutti gli appassionati della bicicletta e farli tesserare. Perché in questo modo ci sarebbe anche una copertura assicurativa quando si è per strada. Poi, ci sono anche tantissimi eventi ciclo-turistici che sono legati alla cultura, alla storia e all’enogastronomia che fanno girare tutto un mondo che è quello della bike economy che, in Germania, ha un giro economico 5 volte superiore a quello dell’Italia. Con le nostre ricchezze, se sfruttassimo al meglio questo settore, tutto il Paese avrebbe un enorme ritorno. Inoltre, ho già preso contatto con gli enti di promozione sportiva per portare il ciclismo negli oratori e nei campus estivi perché lì ci sono gli animatori che hanno bisogno di tenere impegnati i bambini e ci sono gli spazi per farli divertire con le biciclette”.

Ci spieghi il progetto Academy

“Ho già un accordo con il sindaco di Montichiari per fare una struttura con la foresteria per gli atleti, il centro di medicina dello sport, il centro di fisioterapia e di biomeccanica. L’eccellenza dello sport per fare un centro di alta specializzazione. Aggiungendo un percorso di mountain bike e con il percorso di BMX nella vicina Verona, può diventare un centro per l’eccellenza della bici. In estate, poi, questa struttura può essere sfruttata per fare i campus, come quelli che fanno le grandi società di calcio per i giovani appassionati, per fargli provare tutte le specialità dando la priorità all’aspetto ludico”.

Per chiudere, un sogno?

“Il mio sogno nel cassetto è quello di riportare la Sei Giorni a Milano. Sia per riportare un pezzo di storia in Italia sia perché possa diventare un evento in grado di produrre un utile e una bella vetrina per il nostro sport”.

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