Atalanta e Gasperini, due modelli di un calcio vincente anche senza trofei

L’Atalanta di Gian Piero Gasperini, da anni e senza alcun tipo di smentita, è un modello per il calcio italiano. Da un punto di vista prettamente economico e di business, non c’è nessun’altra squadra del massimo campionato che riesce ad avere un tasso di conversione tra spesa effettiva e risultati sul campo così alto. Per il terzo anno consecutivo, infatti, la Dea riesce a centrare la qualificazione in Champions League con il budget più basso delle famose ‘7’ sorelle. Un risultato straordinario, addirittura raggiunto con una settimana di anticipo rispetto alla fine del campionato, a testimonianza del grande lavoro fatto da Gasp e dalla squadra in un’annata tribolata per tutti, a maggior ragione per Bergamo e i Bergamaschi.


di Matteo Pifferi – DataSport

La sconfitta in finale di Coppa Italia, giunta al termine di un match giocato bene dai nerazzurri per 45′, evidenzia come ai Bergamaschi manchino alcune doti che caratterizzano le grandi squadre: il killer instinct soprattutto, vista l’imponente mole di gioco profusa nel corso del primo tempo. Tante occasioni, diverse sgroppate di Zapata e compagni e una Juve in grande difficoltà per il primo quarto d’ora prima che i Bianconeri uscissero alla distanza a tal punto da passare in vantaggio con Kulusevski al termine di un’azione forse viziata da un fallo di Cuadrado su Gosens. L’Atalanta, però, ha saputo reagire da grande, ristabilendo la parità con Malinovskyi che, in una serata lontana dai suoi standard, timbra comunque il cartellino per il momentaneo pareggio. Un solo gol segnato dopo un primo tempo giocato alla grande. 

Dopo l’intervallo, però, l’Atalanta si spegne. Nella ripresa, Buffon praticamente non viene mai chiamato in causa. Proprio sul più bello, la Dea si ferma a un nonnulla dall’alzare un titolo tanto atteso e quanto mai meritato per l’impegno e i soldi che i Percassi hanno investito nel corso degli ultimi anni, portando la squadra da lottare per la salvezza fino all’Olimpo del calcio europeo, con tanto di semifinale di Champions League sfiorata solamente un anno fa e negata dal PSG di Mbappé e Neymar, giunto poi in finale l’anno scorso e in semifinale quest’anno. 

Per l’Atalanta, il KO contro la Juventus ha diverse affinità con l’altra finale di Coppa Italia, persa due anni fa contro la Lazio, con le reti di Milinkovic-Savic e Correa. L’Atalanta esce, in ogni caso, sconfitta con l’onore delle armi, perdendo contro una squadra che, nonostante un monte ingaggi monstre e investimenti da top, finirà sicuramente dietro in campionato ma che, nella finale, ha giocato in maniera accorta, spregiudicata nei momenti giusti e con un pressing che ha inibito le trame offensive dell’Atalanta, solitamente straripante a campo aperto, ma che, col passare dei minuti, è diventata via via sempre più innocua.

Parafrasando una celebre canzone di De Gregori, è interessante analizzare il giudizio dell’opinione pubblica su Gian Piero Gasperini: “Non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”. Pirlo, neofita ma favorito da una squadra oggettivamente più forte, ha saputo imbrigliare il collega da un punto di vista tecnico-tattico, schermando i punti di forza atalantini e colpendo ai fianchi come un pugile accorto, intelligente, furbo. Gasperini rimane a 0 titoli in carriera – non si annovera il trofeo di Viareggio vinto con la Juventus Primavera – ma, sempre proseguendo nella famosa ‘Leva calcistica della classe ’68’ di De Gregori, “Chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai. Di giocatori tristi che non hanno vinto mai. Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.

Già, la fantasia è proprio un tratto distintivo di Gasperini, da sempre innovatore, dotato di grande ingegno nonché fautore di un nuovo modo di intendere il calcio, scardinando dei principi per alcuni sacri fino a fissarne dei nuovi, con la consapevolezza che il mondo del pallone è sempre in evoluzione e chi si ferma è perduto. Basti pensare anche alla formazione dell’Atalanta nella prima in Serie A del Gasp: Sportiello in porta, difesa a tre con Raimondi, Toloi e Zukanovic, con Conti e Dramé sulle fasce, Kessié e Kurtic in mediana e un attacco spregiudicato con il Papu Gomez e Spinazzola ai lati di Paloschi. Rispetto a oggi, è rimasto solo Toloi, con Sportiello che è il vice di Gollini. In tanti sono saliti sull’ottovolante atalantino e hanno spiccato il volo verso altri lidi – pagati a suon di milioni per la gioia dei Percassi e dei bilanci nerazzurri -, la maggior parte però ha steccato. 

Quasi come fosse un mondo a parte quello di Bergamo, là dove tutto funziona a meraviglia in un meccanismo che, una volta compreso nei minimi dettagli, va alla perfezione. Mentre all’esterno ci si deve adattare a una nuova realtà, con altri schemi, altri modi di pensare e giocare a calcio. Basti pensare alle difficoltà avute da Gagliardini all’Inter, Kessié nei primi anni al Milan, Caldara e Conti sempre in rossonero, ma anche a Spinazzola e Cristante alla Roma. Per definire come il modello dell’Atalanta sia vincente, nonostante l’assenza dei trofei, è utile citare due ultimi esempi: il primo è Amad Diallo Traore, talento classe 2002 fatto esordire – manco a dirlo – da Gasperini e autore di un gol in Serie A dopo appena 5′ dal suo esordio. Lo United ha preso nota e, a gennaio, lo ha pagato a suon di milioni, garantendo una plusvalenza monstre di 40 mln alla Dea. L’altro nome è Dejan Kulusevski, prodotto del settore giovanile atalantino, ma venduto alla Juventus senza neanche un minuto in maglia nerazzurra per 44 mln di euro, bonus compresi. E fa niente che proprio lo svedese sia stato protagonista assoluto della finale di Coppa Italia con gol e assist. Non è da questi dettagli che si valutano una squadra e un allenatore che, indipendentemente dai trofei che (forse) arriveranno, ha disegnato un nuovo modello sostenibile e dalla resa in campo eccellente, in un periodo difficile nel quale i grandi padroni del calcio, indebitati fino al collo, cercano più di un salvagente per non annegare. Chapeau a Percassi, chapeau all’Atalanta, chapeau a Gasperini. Un esempio non vincente, ma di successo.

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