Impianti sportivi a Milano: le attività a misura urbana e il sogno olimpico

Al Seminario “Impianti sportivi a Milano: le attività a misura urbana e il sogno olimpico”, ideato e organizzato dal socio Panathlon Giovanni Di Fiore e tenutosi all’auditorium Gaber di Palazzo Pirelli, si è parlato di storia, mito e leggenda… con tre appunti in agenda.

Il Panathlon Club Milano (a patrocinio dell’incontro) ha posto in risalto idee per l’impiantistica sportiva del domani –  “no a vincoli sulle nuove costruzioni” – e qualche invito deciso alle lungaggini all’italiana: “Vade retro burocrazia”.

La relazione del referente Scais dell’Arch. Giovanni Di Fiore – dal titolo “Milano-Cortina, occasione di sviluppo per gli impianti milanesi” – ha toccato le corde giuste di un argomento divenuto ‘sfuggente’. Il presidente del Panathlon Club Milano, Filippo Grassia, lo ha così inquadrato sui tre punti in agenda: “Svecchiare, Ri-pensare oltre, rinfrescare….”

Il punto focale è il poco dialogo tra enti, comuni, regioni e Soprintendenza sulla reale necessità di mantenere in piedi strutture ormai vetuste nel fisico (e nella mente di chi le vive) invece di pensare a impianti ex novo, maggiormente funzionali e in linea con l’attuale ‘richiesta fruitiva’. 

In rassegna le considerazioni sul vecchio velodromo Vigorelli “ha una lunghezza di oltre 397 mt, come se si giocasse a calcio in un campo di 150 mt … che senso ha!” e sul gap – al momento insostenibile – che il nostro paese paga nei confronti degli altri: “Un gap che potrebbe aumentare ancora – ha confermato Grassia – qui a Milano ci blocchiamo sullo stadio Meazza … il prof. Emilio Faoldi del Politecnico ha escluso che si possa arrivare a una riqualificazione dello stadio perché troppo costoso e perché porterebbe ricavi inferiori rispetto a uno stadio nuovo. Quando pensiamo a un impianto sportivo, dovremmo volgere lo sguardo verso le abitudini di coloro che ne usufruiranno tra dieci, quindici, vent’anni. Il mondo cambia velocemente, possiamo pensare ancora a un San Siro concepito 80 anni fa?”. 

In seguito rotta verso fulgidi esempi: “Pensiamo a Londra, allo stadio dell’Arsenal (l’Emirates Stadium) – ha continuato Grassia – si tratta di un impianto unico, vissuto giornalmente e dove la gente si sposa. Il vecchio Highbury, dove la squadra ha giocato dal ’36 al 2006, non esiste più nonostante la sua storia gloriosa. Quell’impianto è stato riadattato in un complesso residenziale mantenendo solo l’involucro esterno originale”. Ancora: parliamo di Wembley: “Costruito nel ’23, demolito nel 2003,oggi è il più capiente dopo il Camp Nou di Barcellona e ospita calcio, rugby, concerti e atletica leggera: la capienza viene diminuita di 20 mila posti e la pista di atletica adattata solo per pochi giorni…. Mi chiedo: la Soprintendenza italiana avrebbe permesso l’abbattimento delle due torri che per 80 anni furono simbolo di quel luogo?”. “Credo che tutte le associazioni interessate a questi temi dovrebbero portare avanti un confronto con le Soprintendenze per evitare che ci siano dei vincoli a impianti sportivi che non hanno più ragion d’essere. Impianti che, più che riqualificati o ristrutturati, devono essere demoliti e rifatti da capo”. 

La chiosa per un invito: “Comunità, Municipi, Regioni devono necessariamente ridurre i vincoli per la costruzione di impianti sportivi e dall’altra parte la Soprintendenza deve lavorare meglio su ciò che davvero possiede valori archeologici, monumentali e museali e lasciare l’impiantistica sportiva a una realtà che oggi è profondamente diversa”. In buona sostanza: cosa farcene di un impianto sportivo che non produce energia?

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