Arpad Weisz: dall’oblio alla memoria grazie a Marani

“Una foto su cui mi sono soffermato, una lettera su cui ho indagato, una strada nella quale avevo sempre abitato”. Istantanee in prosa di Matteo Marani durante la Conviviale Panathlon Milano di maggio. Un incontro da immortalare per il pathos che si è impossessato subito dei commensali. Argomento ‘tosto’, che nel breve volgere dei primi aneddoti ha tramutato smorfie ‘conviviali’ in sorriso amaro. Meglio: riflessivo.

Introdotto dal presidente del Panathlon Club Milano Filippo Grassia, Matteo Marani ha aperto la strada alla memoria storica e chiuso quel vicolo cieco – destinazione oblio – narrando la commovente/eroica parabola di Arpad Weisz (allenatore di origine ebraica pluriscudettato in Italia, una volta con l’Inter, quattro con il Bologna, considerando anche l’ultima stagione interrotta in autunno), prima discriminato dalle leggi razziali del 1938, in seguito violentato nell’animo dalla deportazione nazista.

Di Weisz si sapeva tutto o quasi fino al 1938. Delle sue intuizioni tattiche che portarono all’invenzione del “sistema” (il WM), del lancio di Giuseppe Meazza all’Inter sul finire degli anni ’20, del trionfo scudettato con i nerazzurri prima e con il grande Bologna (“che tremare il mondo fa”) poi. Di tutto il resto se n’era persa ogni traccia: cancellato il ricordo, ricacciato indietro l’esercizio della memoria.

Marani, partito da una vecchia foto d’archivio del Bologna, era risalito successivamente a una lettera … propria in quella strada (Via Valeriani in Bologna) che aveva sempre abitato. La foto era di Arpad Weisz, di cui aveva sentito parlare quale leggendario tecnico del Bologna anni ’30 ma di cui non riusciva a trovare nulla dal secondo semestre del ’38 in poi. Uno squarcio di vita, l’ultimo per Weisz, inghiottito dal quel vicolo cieco – con finale tragico – indicato dalla segnaletica (armata) nazista.

Da quella foto era risalito al nucleo familiare. La successiva indagine – vecchi sottoscala, registri impolverati – aveva prodotto il nome di un compagno di banco ancora in vita del figlio di Weisz (il piccolo Roberto, scolaretto a Bologna tra il ’36 e il ’37) e – colpo di scena – residente in via Valeriani in Bologna, la via prossima a quella in cui Marani aveva sempre abitato…

Da Via Valeriani era venuta fuori una lettera, frutto della corrispondenza del piccolo Roberto Weisz con il padrone di casa. Finalmente uno squarcio di luce sulla storia caduta nell’oblio: le leggi razziali che costrinsero la famiglia a lasciare l’Italia, la successiva fuga in Olanda – via Parigi – e infine la deportazione ad Auschwitz culminata nel peggiore dei modi. La fine. La moglie e i due figli il 7 ottobre 1942, lui il 31 gennaio 1944.

Una fine vieppiù violentata. Strappata nei registri, cancellata dagli archivi, rifiutata alla memoria storica. Ma riconsegnata alla storia dall’opera giornalistica di Matteo Marani, non più un mestiere ma un servizio reso alla memoria. Da una foto, da una lettera, da una strada…. 

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