Marcelo “El Loco” Bielsa parla del calcio dei poveri. Un calcio che (forse) sta finendo

(di Carmelo Pennisi)* – Bisogna essere passati dal sogno di Evita Peron all’incubo di una dittatura militare, per poi planare su un “Corralito” così feroce da far posare una bombola di ossigeno  ad una ragazza carina e dal volto pulito con rassegnata aggressività e dire al cassiere di banca “se non mi fai prelevare 200 pesos io non potrò comprare una nuova bombola e tra due ore sarò morta”, e tutto questo mentre fuori in strada, tra una disperazione non comparabile a niente di quanto mai noi si possa conoscere o immaginare, si vedevano delle copie ballare il “tango”, magnifica illusione corporea e musicale di un intero popolo.

Non puoi capire se non hai mai visto un “barrio” di Buenos Aires, di quelli dimenticati persino da Dio e dove il diavolo non ha niente su cui tentare, uno di quei posti dove anche l’arcobaleno spunta in bianco e nero. Non puoi entrare nell’anima di un argentino se non hai mai letto almeno una volta una riga di Osvaldo Soriano o non hai mai ascoltato un verso di Jorge Luis Borges. Non puoi immedesimarti se non hai davanti a te l’immensità del “Mar della Plata” e pensare che lì sono stati fatti precipitare migliaia di “Desaparecidos”, in una tomba così blu da strapparti il cuore.

Non puoi proprio avere idea se non hai parlato almeno una volta con un tifoso del “Boca Junior” o del “San Lorenzo De Almagro, o del “River Plate”. Non ci sono sorprese nelle difficoltà, ma semplicemente brutte sorprese, a questo sono abituati da generazioni gli argentini, ecco perché si sono attaccati visceralmente al calcio, l’avvenimento povero più ricco del mondo.

E se c’è qualcuno disposto a difendere la natura costitutiva del calcio fino alla morte, questi sono proprio gli argentini. Ecco, se non rifletti su tutto ciò non puoi capire il mondo di Marcelo “El Loco” Bielsa, uno che non parla mai, ma se decide di farlo è per difendere la cosa che ama di più, anche in una conferenza stampa dove potrebbe stare tutto il tempo a gloriarsi per una vittoria contro il Brasile. Ma gli argentini sono posseduti dalle vertigini del “tango”, e non hanno paura nemmeno del ridicolo o dell’essere fraintesi quando portano avanti il cuore: “essenzialmente il calcio è di proprietà del popolo-ha detto Bielsa nel dopo Uruguay Brasile dell’ultima “Copa America”- , perché i poveri hanno poche possibilità di accedere alla felicità, visto che non hanno i soldi per comprare la felicità… ma ormai i poveri il calcio non ce l’hanno più, glielo stanno rubando”.

Il logo ufficiale della 48ima edizione della Copa America 2024 (in programma negli Stati Uniti)

Non è un grido di dolore questo dell’attuale tecnico dell’Uruguay, è indignazione e invito alla ribellione, dato come il furto stia avvenendo proprio sotto i nostri occhi. I sudamericani, meglio di chiunque altro, capiscono quando il business sta togliendo tutto, perché sono l’America sconfitta condannata per sempre a essere dirimpettaia dell’America vittoriosa. Vedono la ricchezza e per un attimo si illudono di poterla afferrare, ma poi l’incantesimo si rompe e tutto diventa sabbia che scivola via dalle mani senza poterla fermare. Il calcio per un sudamericano non è e non sarà mai un riscatto, bensì una sospensione dal tempo del dolore, una rima di una allegria perduta ma improvvisamente ritrovata. “El Loco” tutto questo lo sa, e allora ha sguainato la spada davanti ad una platea di giornalisti resa stupita da quel suo gesto, e ha implorato di fare qualcosa perché lo scippo del calcio ai poveri non vada definitivamente in porto.

Lui, “El Loco”, è uno che rispetta il calcio e ama la sua poesia, e allora alla vigilia della “Copa America”, tra lo stupore generale, convoca Walter Dominguez, uno sconosciuto attaccante di una sconosciuta squadra della provincia uruguagia, per dargli l’occasione della vita. Solo un argentino poteva farlo. Bielsa può minacciarti con una bomba a mano della collezione di famiglia di residuati bellici e poi subito dopo metterti dolcemente il braccio attorno al collo e invitarti a bere insieme a lui un “Asado”, la suggestione dello sport più seguito al mondo sta esattamente in tutto questo, ed è quasi una preghiera e una buona risata. Memoria di gioia eterna. Il calcio e il tango si fondono, mentre sui “barrios” di Buenos Aires cala la sera, dopo una giornata in cui a cantare sovente è stato solo un pallone. Ma basta anche più di tutto l’oro del mondo.

* scrittore, sceneggiatore e contributor sportivo

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