Messina e Meneghin: l’elogio del super-professionismo

Da Madrid a Mosca “mi hanno dato un kalashnikov”, passando per gli
States. Messina racconta il suo rientro a Milano
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A largo di Messina, altro che ‘stretto’. Alla Conviviale Panathlon Club Milano due colossi del basket: Ettore Messina, coach di Olimpia Milano, e Dino Meneghin ‘colosso’ vero dei parquet. 

Il “Circolo dei Navigli’ (in pieno centro a Milano) s’è riscoperto palazzetto silenzioso per pendere dalle labbra degli ospiti, incalzati dalla sferzante curiosità del Presidente Panathlon Milano, Filippo Grassia. 

Messina ha così scandito le tappe di avvicinamento verso Milano, di rientro dagli States (nei L. A. Lakers prima, nei San Antonio Spurs poi, di mezzo le esperienze di Madrid e Mosca), soffermandosi su esigenze professionali e stati d’animo: “Mettiamola così, ero stufo di fare l’assistente – riferendosi all’esperienza a stelle e strisce – ho avuto questa possibilità con Armani. Son stato due volte con lui a parlarne, abbiamo poi deciso per compiere questo passo. A casa non abbiamo dormito per due giorni. Serenamente potevo invecchiare e finire la carriera con poco stress in qualità di assistente: se sei un assistente bravo, hai poche responsabilità”,

Rientro in Italia a ‘miracol-mostrare’ con bagaglio rinnovato a stelle e strisce. Messina si è soffermato sul super professionismo degli atleti Nba: “Davvero stupefacente è il livello professionalità dei giocatori, lavorano tutti come matti in estate, e non solo i top player. Ognuno vuole aggiungere qualcosa al proprio repertorio: per essere più difficili da marcare, per non farsi superare dagli altri. E i meno bravi per non essere eliminati dal sistema. Ecco, questo è il super professionismo. Qui in Italia? Purtroppo solo poche isole felici, ma a cascata non c’è un ritorno benefico per l’intero sistema. C’è da lavorare”.

L’irruzione poi di Meneghin, che ha premiato l’assist del coach per andare a tabellone: “L’esperienza che ha maturato Ettore in Nba servirà molto all’Olimpia ma potrà portare beneficio all’intero sistema. In America vendono uno spettacolo completo che vale miliardi di dollari, vendono un prodotto marchiato da protagonisti top. Non solo per il basket, ma anche per baseball, football e così via: ogni campionato per loro è un campionato del mondo”. Meneghin, sfruttando il varco aperto da Grassia, è così entrato in percussione per la giocata: “Il ritiro della mia maglia all’Olimpia? Devo tutto a Ettore…. avrà fatto pressioni chissà. È una sensazione bellissima, in pratica ti viene appiccicata addosso un’etichetta ‘doc’ che non andrà via. Qualche tempo prima mi avevano inserito nella ‘Hall of fame’ americana, ma durante la serata del ritiro della maglia Armani ho provato un’emozione più grande”.

Chiusura sulla bilancia per entrambi. Messina ha indicato in Mosca il ricordo più bello con la vittoria in Eurolega, in Madrid l’esperienza meno esaltante. Meneghin ha replicato: “La soddisfazione più grande è stata vedere mio figlio in prima squadra: lui a 16 anni e io a 40”. Di padre in figlio, di Messina in Milano. Fino ai Dei dell’Olimpia.

Metti un Ak-47 in confezione regalo

“A Mosca, tutt’altra storia”. Eurolega armi in pugno e festeggiamenti che neanche a Rio. “Una società efficiente, un club modello – il ricordo di Messina – tra me e il presidente non c’erano equivoci. Quando abbiamo vinto l’Eurolega è stato pazzesco, non ho mai più visto ‘tanto bere’ in giro… il Ministro della Difesa a un certo punto era sul podio. Mi disse: cosa vuoi coach? puoi chiedermi tutto. E io: mi piacerebbe vedere la parata del 9 maggio. È uno di quegli eventi a cui i russi tengono tantissimo, addirittura ripuliscono i cieli scacciando le nubi con velivoli e manovre costosissime. Alla cerimonia ufficiale al Ministero ai giocatori regalarono un piccolo carro armato modellino. A me diedero un Kalashnikov, l’Ak-47. Me lo consegnarono con tutti i documenti in ordine. Torno a casa e mia moglie mi fa: questo qui in casa non entra!”. Kalashnikov spedito al museo, unione familiare salva.

“Lasciatemi allenare… perché ne sono fiero”


Chissà se gli sarà mai entrato in testa il motivo di Cutugno – “L’italiano”, tanto celebre in giro per il mondo – durante l’esperienza madrilena. Ettore Messina ha confessato di non aver trascorso i migliori mesi della sua vita, almeno sotto il profilo professionale: “Rispetto a Mosca, a Madrid non è andata bene. Mi facevano sentire la persona sbagliata nel posto sbagliato. Ripetevano solo “ganar, ganar” (vittoria), mi facevano diventare matto. E quando non vincevamo una partita, l’ambiente esclamava compatto: l’Italiano non ha vinto, l’Italiano ha sbagliato”. Lasciatemi sbagliare, perché ne sono fiero.

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